Sabato 14 maggio nella Cattedrale di Terni è stata celebrata celebrata la Veglia diocesana di Pentecoste, presieduta da mons. Giuseppe Piemontese, con l’accoglienza alle ore 20,30 in piazza Duomo e la veglia alle ore 21.
La Pentecoste, festa che conclude il periodo pasquale, nel cinquantesimo giorno dopo la Pasqua con la discesa dello Spirito santo sugli apostoli riuniti nel cenacolo, è stata celebrata a livello diocesano nella veglia alla quale hanno partecipato numerosi fedeli dei vari movimenti ecclesiali, associazioni, parrocchie, in segno di unione e di preghiera comune per accogliere la misericordia del Padre attraverso i doni dello Spirito, perché la Pentecoste sia seme di accoglienza e fraternità. La veglia è stata scandita da momenti significativi scandita dalla benedizione iniziale del fuoco, dall’ascolto della parola di Dio, da canti e invocazioni allo Spirito Santo, da testimonianze sulle opere di misericordia e l’accensione di sette lampade di diverso colore.
Tre toccanti testimonianze hanno portato alla luce segni di speranza nella diocesi, raccontando esperienze di vocazione e di fede, che sono segno di consolazione, come quella di don Sandro Castellani ultimo sacerdote ordinato ad aprile scorso a 50 anni. E ancora quella di una nonna e membro del centro volontari della sofferenza, che ha vissuto in prima persona la sofferenza per la perdita della figlia ma da questo ha saputo trarre semi di speranza, prendendosi cura dei nipoti anche a seguito della disoccupazione del padre. Ed infine quella di un gruppo della comunità parrocchiale di borgo Rivo che ha accolto e adottato quattro profughe siriane con le loro figlie, dando aiuto con un contributo mensile per l’affitto e le altre necessità, ma soprattutto ricreando un vero ambiente familiare ormai perso da tempo.
Il vescovo concludendo la veglia ha sottolineato l’importanza dell’impegno dei laici nella società e ricordato il cammino della chiesa locale nel segno della comunione: “Tutti facciamo il nostro ingresso nella Chiesa come laici. Il primo sacramento, quello che suggella per sempre la nostra identità, e di cui dovremmo essere sempre orgogliosi, è il battesimo – ha detto -. Ci fa bene ricordare che la Chiesa non è una élite dei sacerdoti, dei consacrati, dei vescovi, ma che tutti formiamo il Santo Popolo fedele di Dio”.
“In questo Anno Santo stiamo camminando sulla strada della comunione e della missione nel segno della misericordia. Ognuno per la vocazione e il carisma proprio siamo operosi nel costruire la comunione e nel dare l’apporto per partecipare alla missione di annunzio del Vangelo. Come pastori, uniti al nostro popolo, ci fa bene domandarci come stiamo stimolando e promuovendo la carità e la fraternità, il desiderio del bene, della verità e della giustizia. Come facciamo a far sì che la corruzione non si annidi nei nostri cuori”. Vivere da cristiani nella società è segno di inculturazione “è imparare a scoprire come una determinata porzione del popolo di oggi, nel qui e ora della storia, vive, celebra e annuncia la propria fede. Con un’identità particolare e in base ai problemi che deve affrontare, come pure con tutti i motivi che ha per rallegrarsi. L’inculturazione è un lavoro artigianale e non una fabbrica per la produzione in serie di processi che si dedicherebbero a “fabbricare mondi o spazi cristiani”.